Alessandro Fumagalli

Ritratto di Alessandro Fumagalli

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Alessandro Fumagalli era nato nel 1901 a Capiate, in provincia di Como; lavorava come operaio meccanico specializzato alla Falck di Sesto San Giovanni e abitava in Via Dante 2 con la moglie e la giovane figlia Emilia. E’ proprio quest’ultima che ci ha raccontato come, nella notte tra il 27 e il 28 marzo 1944, i Carabinieri di Bernareggio prelevarono suo padre dalla loro abitazione “per Ordine Superiore” (solo così motiva l’arresto un documento della Guardia Nazionale Repubblicana). Inviato alle carceri di San Vittore a Milano, dopo pochi giorni fu trasferito a Bergamo, punto di raccolta di numerose vittime dei rastrellamenti che in quelle settimane colpirono le grandi aziende lombarde; il 4 aprile partì per destinazione sconosciuta.


La famiglia, fino a dopo la fine della guerra, non seppe più nulla di lui, se non che era stato trasferito in Germania a lavorare; né seppe esattamente perchè fu arrestato e deportato, o chi lo denunciò. Non risulta infatti che svolgesse attività politica; probabilmente fu coinvolto dalla rappresaglia nazifascista allo sciopero generale del marzo 1944, così come tanti altri dipendenti della Falck, ma anche di altre grandi fabbriche della zona come Breda, Pirelli, Marelli, Singer.


Dopo la partenza dalla stazione di Bergamo possiamo solo immaginare a quali vicende andò incontro, vittima innocente, nei mesi seguenti; in nostro aiuto possono venire le testimonianze di quei pochi che riuscirono a tornare a casa, come Angelo Signorelli, di Monza, anch’egli operaio della Falck deportato a Mathausen e, come Fumagalli, assegnato al sottocampo Gusen. Il viaggio in treno, l’arrivo al campo, le selezioni, il lavoro, gli stenti, la fame, le malattie, le violenze...questo purtroppo attendeva tutti i deportati.


Alessandro Fumagalli morì di denutrizione, deperimento e malattia il primo maggio 1945, pochissimi giorni prima della liberazione del campo da parte dell’esercito americano.


L’intitolazione di #piazza Fumagalli risale all’autunno del 1945, pochi mesi dopo la fine della guerra, quando le autorità cittadine su iniziativa del Comitato Reduci dalla Germania decisero in questo modo di mantenere vivo il ricordo del tragico destino di un concittadino morto in un campo di sterminio nazista.


(testo di S.BAIONI)

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